Cattaneo-Vietti Riccardo

I compagni delle elementari hanno un ruolo speciale nella nostra vita. Almeno nella mia. Quando li incontri torni bambino, è una sorta di imprinting relazionale. Si instaura un legame emotivo che dura per sempre.

Riccardo non era un compagno delle elementari, ma era come se lo fosse stato. Non capita spesso nella vita. Era alto due metri, ma aveva un viso da bambino, e condividevamo la passione per il mare. Ma non il mare fine a se stesso: per la vita nel mare. Lui studiava i nudibranchi, lumache marine. Io studiavo gli idroidi e le loro meduse, il cibo di molte delle sue lumache. Andavamo sott’acqua assieme, a Portofino, e non vedevamo nient’altro che i nostri animaletti, come li chiamavamo. Poi tornavamo a Zoologia, in via Balbi 5, a Genova, e li guardavamo con i nostri microscopi, per capire cosa erano. Studiavamo la biodiversità marina, nelle forme che non sono familiari a tutti. I biologi marini sono spesso immaginati a studiare balene, delfini, tartarughe e squali. Noi no. Banalità per dilettanti. Avevamo un gruppo di mischia, in istituto. Capitanati da Michele Sarà, specialista di spugne, il gruppo era fatto da Maurizio Pansini e Roberto Pronzato, spongologi, Andrea Balduzzi, briozoologo, Daniela Pessani, carcinologa, e da Riccardo, malacologo. C’ero anche io, medusologo, e presto al gruppo si aggiunsero Giorgio Bavestrello, il mio primo studente, e Carlo Cerrano. Il gruppo si allargava a Carlo Nike Bianchi, polichetologo, e Carla Morri, anche lei studiosa dei miei stessi animaletti, appartenenti però ad un’altra parrocchia, quella di Giulio Relini. Non esisteva un gruppo come il nostro, in Italia. Tutti subacquei, messi assieme ci completavamo e quello che ognuno di noi sapeva sui suoi animaletti si traduceva in una conoscenza comune, che era più delle singole conoscenze. Ci adottò Fabio Cicogna e con lui cominciammo a esplorare le grotte del Golfo di Napoli. E tanti altri posti, come Montecristo, e la Gallinara, anche se Portofino era il nostro giardino di casa.

Riccardo non era di Zoologia, all’inizio. Stava ad Anatomia Comparata, ma quando Daniela emigrò a Torino gli chiedemmo di venire con noi. Nella stessa stanza c’era lui, vicino alla finestra, e poi tre scrivanie in fila. La mia, quella di Andrea, e in fondo, vicino alla porta, quella di Gustavo Pulitzer Finali, un “dilettante” che, di spugne, ne sapeva più dei professionisti.

Quando tornavamo dalle nostre immersioni avevamo moltissime cose nei nostri campioni e cercavamo di identificarle tutte, per fare un inventario della biodiversità di Portofino. Pulitzer si divertiva molto a vederci giocare come bambini con giocattoli nuovi. Eravamo sempre assieme, in laboratorio e sul campo. E andavamo ai congressi. Lavoravamo molto seriamente, ma non prendevamo niente sul serio. Prima di tutto noi stessi. Ci punzecchiavamo continuamente, ridendo come quelli nell’ultimo banco, che prendono in giro i secchioni.

Riccardo era sempre allegro, come tutti noi. Ma lui era speciale. Sentire una sua conferenza era un’esperienza esilarante. Le barriere coralline diventavano corriere baralline, e l’isola di Montecristo, rotonda, veniva esplorata nei suoi quattro lati. Non si capiva se lo facesse apposta, per prenderci in giro, o se fosse davvero così (era davvero così, ma ci prendeva in giro, prendendosi in giro). Senza mai supponenza. Col suo toscano, a volte acceso e a volte spento. Sally, sua moglie, era la segretaria del console britannico a Genova. Quando venne a Genova la Regina Elisabetta, Riccardo le strinse la mano, grazie a Sally. Riccardo parlava inglese come parlava italiano. Invece di dire Obviously diceva Osbiousbly, e Sally lo guardava storto, anche perché se gli chiedevano, in inglese, come fosse stato il viaggio rispondeva, nel suo inglese, che conosceva un buon ristorante. E Sally: Ricardo!!!! Una coppia impagabile, con due figlie impagabili: Mary e Francesca.

A Milano, in pieno centro, entriamo in una pasticceria per comprare un panettone da portare a casa della moglie di Fabio, che andavamo a trovare a Natale, dopo la morte di Cicogna. Come al solito ci punzecchiavamo, e intanto parlavamo di cose strane per i più. Una signora elegantissima, ci ascolta con la coda dell’orecchio. Poi prende coraggio e ci parla: sapete, io scrivo per una rivista di fashion, e … ma voi chi siete? Che lavoro fate? In coro: siamo biologi marini, studiamo la biodiversità, dall’Antartide (e indico lui) alla Papuasia (e indica me). Parlando con la voce impostata, tipo Alberto Lupo. Ohhhh, disse la signora. Ci tratteniamo, paghiamo e usciamo. E fuori, in strada, scoppiamo a ridere in modo irrefrenabile. Biologi marini!!!! Il bello è che lo siamo davvero. Riccardo è andato diverse volte in Antartide, con Andrea, e ai tropici, con Giorgio, e in molti altri posti.

Nel 1987 sono andato via da Genova, ma ho passato quasi venti anni in quell’ambiente e Zoologia è casa mia. Anche se l’Istituto non c’è più. Riccardo era in pensione, ma noi non andiamo mai in pensione. Il nostro lavoro non è un lavoro. Riccardo Cattaneo era diventato Cattaneo-Vietti. Suo zio, il famoso architetto Vietti, artefice di Cortina e della Costa Smeralda, non aveva figli e quindi, per tramandare il nome, lo aveva adottato. Riccardo Cattaneo era diventato Riccardo Cattaneo-Vietti. Ha ereditato una fortuna. Ecco, uno dice: se fossi ricco non farei nulla di diverso da quello che faccio ora. Pagherei per fare questo lavoro e mi ritengo un privilegiato ad essere pagato per farlo. Riccardo non aveva altra passione che studiare il mare e parlare e scrivere di biologia marina, con chi parla e scrive di biologia marina. E ha continuato ad andare a lavorare anche una volta in pensione. E l’ultima volta che l’ho visto è stato a Zoologia, non più in via Balbi ma in Corso Europa.

Noi eravamo i vecchi, ma continuavamo ad essere bambini. A prenderci in giro, Non riuscivamo a pensare che qualcuno ci potesse vedere come “autorità”, e invece sono in molti che confessano di averci preso a ispirazione. Con Riccardo ti sentivi subito a tuo agio, in qualunque posto. Fu lui, a un congresso, a recepire la richiesta di aiuto da parte di Ranieri di Monaco. Aveva istituito una riserva marina a Montecarlo, e chiedeva che qualcuno la andasse a studiare. Perché non ci andiamo? Disse Riccardo. Scrivi. Lui scrive e loro ci invitano. Andiamo a Corte, conosciamo Ranieri e Grace, al Loewe, e cominciamo a fare immersioni a Montecarlo, con le motovedette del Principato, sotto l’ala della Association Monegasque de la Protection de La Nature. Cousteau, allora direttore dell’Aquario e Museo Oceanografico di Monaco, era abituato a girare il mondo con il suo battello, e gli sembrava che non ci fosse nulla di rilevante lì, nel cortile di casa. Ma sotto al Loewe c’era il corallo, e Riccardo, assieme a Giorgio Bavestrello e Carlo Cerrano, progetta dei supporti dove far crescere il corallo.

E poi la moria di gorgonie in Mar Ligure, e la biomineralogia (l’influenza della natura del substrato sulla fauna e la flora che vi si insedia), e il cleptoparassitismo. Ovviamente ognuno di noi, a Zoologia, pensava di aver avuto le idee più brillanti. Io compreso. Ma non era così. Perché le idee brillanti continuarono a essere prodotte anche quando me ne andai (a produrne altre, altrove). Era l’ambiente, i rapporti all’interno del gruppo, che generava quelle idee, e Riccardo ne era un ingrediente insostituibile. Scriveva libri, il primo fu La Pesca in Liguria, seguito da Mare di Liguria, e poi molti altri, l’ultimo intitolato Uomini e cozze. La versione marina di Uomini e topi. Raccontava storie e uno dei suoi ultimi articoli, assieme a Gianni Russo, è proprio una breve storia della biologia marina italiana. Riccardo ha affrontato mille argomenti nei suoi lavori scientifici, collaborando con decine di biologi marini da ogni angolo del mondo. E tutti quelli che conosco sono entusiasti di lui, della sua personalità, della sua competenza, e dei suoi indimenticabili due metri di altezza.

Il più grande biologo marino d’Italia. Fonte di ispirazione per decine di studenti e colleghi che, attraverso di lui, hanno sentito l’odore del mare (e del suo toscano).

Doveva morire, Riccardo, per non farmi sorridere.

Nando Boero

RICCARDO CATTANEO-VIETTI

Laureatosi con lode in Scienze Biologiche nel 1972 presso l’Università di Genova, Riccardo Cattaneo-Vietti ha svolto in questo ateneo la gran parte della sua attività scientifica, da ricercatore e professore con un intermezzo come Professore Ordinario di Ecologia presso l’Università Politecnica delle Marche. 

Il fulcro della sua attività di ricerca è stata la biologia ed ecologia marina ed in particolare lo studio delle comunità bentoniche mediterranee ed antartiche. Specialista di molluschi opistobranchi, è stato responsabile di vari progetti nazionali inerenti le comunità bentoniche marine, le grotte sommerse, il corallo rosso e la gestione delle aree marine protette. 

È stato Regional Editor di Marine Biology per un decennio (1997-2007) e anche Associate Editor di Aquatic Biology. Nel periodo 2006 – 2012, ha fatto parte del Giunta Amministrativa e del Consiglio Direttivo del CoNISMa rappresentando l’Università di Genova che è stata peraltro tra gli atenei fondatori del Consorzio.

Autore di 7 libri di biologia ed ecologia marina, ha sintetizzato le sue ricerche in oltre 300 pubblicazioni scientifiche, in buona parte pubblicate su riviste internazionali. Oltre a ciò ha scritto testi di pura divulgazione, che miscelano sapientemente la conoscenza scientifica, l’amore per l’arte e la capacità di osservazione storica. Ricordiamo il volume UOMINI E COZZE: I MOLLUSCHI NELLA STORIA, in collaborazione con Mauro Doneddu e Egidio Trainito, che ripercorre il ruolo di questi molluschi dal Paleolitico ad oggi. 

Ha rappresentato l’Università di Genova nel Consiglio d’Amministrazione dell’Area Marina Protetta di Portofino, ha fatto parte del Consiglio Scientifico dell’Area Marina Protetta di Tavolara – Capo Coda Cavallo.

Questa sintetica biografia scientifica, che chiunque può integrare pescando nella rete del web, è solo un tassello della vita di Riccardo. A suggello di quanto sin qui riportato possiamo solo aggiungere che lui non poteva che essere un Tridente d’Oro. Infatti, se il tridente, conferitogli nel 2010, è il simbolo di Nettuno, ebbene questo è forse la migliore testimonianza del rapporto tra Riccardo e il mare, quasi che le divinità del mare avessero deciso di farlo partecipe dei loro segreti. 

Partito dal mare di Genova e della Liguria, Riccardo aveva esplorato molti altri mari a tutte le latitudini, da Nord all’estremo Sud del mondo, in quei mari antartici che raggiunse ben sette volte nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, dal Mediterraneo ai tropici (nel 1986 aveva partecipato alla spedizione sulla Grande Barriera Australiana organizzata dal Gruppo Ricerche Scientifiche e Tecniche Subacquee di Firenze (G.R.S.TS.), sempre osservando, studiando e raccontando ciò che i suoi occhi registravano e la sua mente elaborava, cercando dati e conferme nelle pubblicazioni scientifiche dove sguazzava come in un altro oceano. Un oceano letterario che lui stesso ha contribuito ad arricchire con centinaia di lavori e che costituiscono la sua eredità scientifica per la comunità mondiale dei biologi marini.

Nell’arco di cinquant’anni di studi, egli è passato dalle sue prime ricerche su molluschi e nudibranchi a quei lavori di ampia sintesi e di innovazione che sono la cifra della validità di uno studioso- Ne sono testimonianza alcuni dei suoi ultimi lavori usciti nel 2021: il primo (The essential role of diving in Marine Biology), che mi ha visto coautore e che considero un dono indimenticabile e oggi ancora più caro, è presente da alcune settimane, quasi un presagio, anche sul sito della nostra Accademia, e può essere considerato un seguito ideale del suo A brief history of the Italian marine biology, scritto nel 2019 con Giovanni Fulvio Russo, anch’egli Tridente d’Oro; il secondo che mi piace ricordare si intitola Preliminary evidence of fluorescence in Mediterranean heterobranchs scritto con il suo collega e grande amico Giorgio Bavestrello e Federico Betti.

Riccardo non passava inosservato. Non poteva. Le sue dimensioni lo rendevano riconoscibile da lontano, ma era da vicino, parlandoci, che si capiva quanto fosse speciale. Sapeva tanto, ma era capace di metterti a tuo agio facendoti sentire importante e le sue critiche erano sempre costruttive e spesso condite con battute capaci di spiazzarti. 

Caro Riccardo, sfogliando nel web le pagine con il suo nome ho visto una foto che mi ha emozionato. Lungo una scogliera di granito, forse in Sardegna, un gruppo di studenti con lo zaino guarda verso una figura più in alto. Inutile dire che quello là sopra sei tu. Immagino che allora come ora avrai superato per primo, come sempre, il crinale, scomparendo alla vista di quanti ti seguivano. 

Ciao professore, il 1° di Marzo sei andato oltre quel limite terreno ma, come certo è accaduto in quel giorno lontano, dobbiamo solo aspettare. Siamo certi che ti rivedremo.  

Angelo